Gruen Curvex: the first “anatomic” watch

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Sotto la guida di Beniamin Katz la Gruen Watch Co. abbandonò del tutto l’immagine costruita precedentemente e durata 20 anni, e scelse la strada della più completa innovazione; lanciando in pochi anni molti modelli diversi ed assolutamente innovativi, a volte con poco successo (come per i Carrè, splendidi orologi da tasca e/o borsetta, dal design assolutamente anni’30, ma poco adatti al momento, perché troppo preziosi per le ridotte finanze degli americani medi), altre volte entrati nella storia dell’orologeria mondiale.

Il più famoso orologio da polso Gruen fu senz’altro il Curvex. Questo orologio è uno dei più grandi esempi del design aerodinamico degli anni ’30. I brevetti del movimento furono depositati sia negli USA che in Svizzera (dove veniva prodotto a Bien) nel 1929, poi riconfermati nel 1932 e nel 1937, per le successive varianti costruttive.

L’origine
Nel corso degli anni ’30 la moda voleva, per gli orologi da uomo, forme rettangolari, lunghe, sottili e curvate sul polso; tuttavia lo spessore e la curva delle casse erano limitate dallo spessore dei movimenti esistenti. Ad una richiesta di una sempre maggiore curvatura e sottigliezza delle casse, l’unico modo di rispondere, con movimenti convenzionali, era di adottarne di sempre più piccoli.
Con una sistemazione ingegnosa dei ponti e delle ruote, Gruen risolse il problema, di costruire un movimento curvo, che permise di alloggiare nelle casse sempre più curve e sottili, un movimento più grande e molto più affidabile, che quelli dei concorrenti.

I movimenti Curvex
Nel corso della produzione Gruen furono solo quattro, i movimenti definiti Curvex:
cal. 311 – il primo originario modello, lungo e sottile, commercializzato dal 1935
cal. 330 – ancora lungo e sottile, ma più curvo del precedente, lo sostituì nel 1937
cal. 440 – seguendo la moda divenne più corto e ovale squadrato, nel 1940
cal. 370 – l’ultimo della serie, corto e quadrato, vide la luce nel 1948

Solo questi movimenti sono stati brevettati da Gruen come “Curvex”. Nessun altro movimento Gruen o di altre marche può quindi essere definito Curvex (nemmeno la serie 500, che Gruen continuò ad usare)
Il primo Curvex (cal.311) nasce nel 1935) ed ha come caratteristica il ponte separato per la ruota dello scappamento ed il ponte della ruota principale di carica posto anteriormente; così il disassamento delle ruote permetteva di realizzare un movimento che poteva seguire meglio il profilo curvo della cassa. Contemporaneamente, per la fascia di mercato più bassa, fu messo in commercio il cal.355 non-curvex, che diede però problemi di affidabilità, e venne sostituito nel 1937 con il cal.500.

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Il successivo cal.330 (1937) porta anteriormente anche un ponte per la ruota dei secondi e posiziona il punte separato del bilanciere al bordo del movimento stesso; i Curvex 330 erano un movimento unico, che non divideva parti con altri modelli. Aveva una curvatura più accentuata ed è stato usato nei disegni più estremi.

Il cal.440 (1940), deriva in modo evidente dalla prima serie Very-thin, e condivide tutte le parti (salvo il ponte principale, che è incavato) con i contemporanei 430/431/435; in particolare riduce il numero dei ponti unendo il ponte del bilanciere a quello principale. Non è ben chiaro il motivo della scelta così diversa dai precedenti; probabilmente è stata un’orientamento ad una economia di scala l’usare gli stessi treni di ruote in tutti i modelli, in risposta anche della grande richiesta di un mercato in esplosione dopo la guerra.
I 440 sono rimasti nella produzione Gruen per 10 anni e sono di gran lunga i Curvex più comunemente diffusi.

Infine il cal.370 (1948) è stato introdotto nel 1948 e è stato prodotto accanto ai 440 per almeno due anni. Anche se sembra essere radicalmente differente, riprendendo alcune caratteristiche migliorate del progetto originale, la maggior parte delle parti dei ruotismi erano facilmente scambiabili con il 440 ed anche con 335. Anche questa fu una decisione di economia di produzione. I 370 rimasero in produzione almeno fino al 1955.

A cura di Alessandro Smania.

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